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Emozioni per questo secondo appuntamento. Fra i premiati della serata: Alice Facchini e Domenico Iannacone per la narrazione degli “ultimi”

Si è svolta il 19 agosto, presso il chiostro dell’Abbazia di San Colombano, nel  comune di Bobbio (PC), la seconda e ultima serata della IV edizione di FEGE, il Festival dell’editoria e del giornalismo emergente. Promosso dall’amministrazione comunale di Bobbio (CS), ideato e diretto dallo storytailor Piero Muscari (che opera da più di trent’anni nel settore della comunicazione e dell’organizzazione di eventi di marketing territoriale e della produzione di contenuti multimediali) e da Danilo Russo, il Festival, che ospita i maggiori organi di stampa regionali, ha visto la partecipazione di personaggi importanti del mondo della comunicazione e del giornalismo italiani. FEGE, che fa parte anche del cartellone del Festival “I Borghi più belli d’Italia, si avvale anche della collaborazione di Scrittori TV, la prima web tv dedicata agli scrittori e al mondo del libro.

Nel corso della manifestazione, ai giovani emergenti viene assegnato il premio “FEGE”, mentre alle figure senior il premio nazionale “Memorial Oliviero Beha” per il giornalismo libero e positivo, l’unico riconoscimento in Italia dedicato alla memoria del grande giornalista scomparso nel 2017, autore di diverse inchieste ed editoriali di denuncia.

Dopo un medley con le immagini chiave della prima serata, lo storytailor Piero Muscari ha ribadito ancora l’importanza delle storie e delle narrazioni sottolineando il fatto che, come gli studi hanno dimostrato, il cervello umano è, per così dire, cablato sulle storie. “Anche i premi sono importanti – ha dichiarato Muscari –  perché sono un pretesto per narrare storie e perché credo nel merito, quello vero, e credo che una persona capace a fianco a noi non ci tolga nulla. Invece può darci delle cose. E le storie sono un modo per capire la realtà, decodificarla”.

Due i premi nel corso della serata: quello per Alice Facchini, una giornalista emergente dell’Emilia Romagna – regione gemellata, quest’anno, con la Calabria – e, nell’ambito del Memorial Oliviero Beha, anche quello per un professionista che rappresenta un punto di riferimento certo e consolidato, Domenico Iannacone, il quale, peraltro, ha ispirato il tema della serata: la narrazione degli ultimi. L’evento è iniziato con i saluti istituzionali, quelli del vicesindaco di Bobbio, Simona Innocenti, a cui Muscari ha chiesto un feedback sull’andamento della prima serata. La Innocenti ha descritto un bilancio assolutamente positivo: l’evento, infatti, ha riscosso il gradimento del pubblico, che si è complimentato per la levatura degli ospiti e per l’interesse del tema che verteva sulla cultura della legalità.

È stata poi la volta della prima storia, quella della giornalista emergente Alice Facchini, provenente dall’Emilia Romagna, premiata da un rappresentante dell’Ordine dei giornalisti della regione, Giorgio Lambri. È intervenuto anche il Presidente del Comitato scientifico di FEGE, il sociologo della comunicazione Michelangelo Tagliaferri che, ironizzando sulla terza porta oltrepassata con la sua età, ha tratto spunto per parlare del concetto ebraico di tikkùn olam (riparazione del mondo), concetto secondo il quale è necessario profondere ogni energia per completare il proprio percorso interiore al meglio, riaggiustando quel che non si è portato a compimento, con l’aiuto degli altri e delle giovani generazione, in particolare. È poi intervenuta la giornalista Alice Facchini, che ha dichiarato “Sono felice per la scelta di questo tema, la narrazione degli ultimi, che è stato quello che ha guidato il mio lavoro e sono felice di farlo con un ospite come Domenico Iannacone”. Dopo la presentazione di un contributo video sulla propria attività, la Facchini ha commentato le tappe più importanti della sua carriera, spiegando anche la scelta che l’ha vista da sempre impegnata nel sociale, su temi come la distruzione di ecosistemi, le condizioni di vita nei paesi poveri, le migrazioni e i confini, lo sfruttamento dei lavoratori, le difficoltà di accesso alla casa e i diritti negati delle persone senza dimora. “Quando sono partita per il Sud America – ha detto la Facchini – non ero sicura di tornare. Ero partita per capire qual era il mio posto nel mondo. La mia grande domanda era se vivere accanto agli ultimi o se accettare di vivere in una società profondamente ineguale. Ho capito poi che il mio posto non era là, ma era qui, nel raccontare di loro. Alla fine sono tornata e ho deciso di fare questo mestiere”. Dopo la lettura della motivazione che ha indotto il conferimento del premio FEGE e la consegna dello stesso, sempre un’opera del maestro Silvio Vigliaturo da parte del Presidente Tagliaferri, la manifestazione è proseguita con un altro breve sipario su Oliviero Beha, cui è dedicato l’omonimo Memorial, e un videomessaggio di Germana Beha, Vicepresidente del Comitato scientifico di FEGE, impossibilitata ad essere presente. “Non siete voi a ringraziare me, sono io a ringraziare voi – ha dichiarato Germana Beha – perché comunque è un pezzo di cuore che si apre e le lacrime scendono, come quando pensi a un caro che non c’è più. Il mio papà basava tutto sul coraggio di essere coerente. Io quel coraggio l’ho sentito nelle parole di chi questo premio l’ha organizzato. Mi sono emozionata a ricordare qualcuno che per me è, a prescindere da tutto, papà. Come famiglia scegliamo anche di ricordarlo con chi segue quella che era la sua idea. Nessuno in famiglia ha scelto di fare il suo mestiere, ma noi siamo cresciuti a pane e libertà”.

È stato poi chiamato sul palco il protagonista della seconda storia della serata e vincitore del premio Memorial Oliviero Beha, il giornalista Domenico Iannacone, autore e conduttore di programmi di grandissimo successo, come “I dieci comandamenti e “Che ci faccio qui”.

Iannacone ha ispirato, come Alice Facchini, il tema della serata, perché, ha dichiarato Muscari “ne è un interprete autentico e perché questo tema ha sempre rappresentato per lui una spinta interiore prima che un mestiere”.

“Non ho frequentato Beha, ma l’ho incontrato in diverse occasioni – ha dichiarato Iannacone rispondendo a una domanda di Muscari su Beha – e mi ha sempre colpito per il suo rigore. Era una persona scomoda e la scomodità spesso faceva diventare quella persona un po’ rude. Ma era preciso, capiva esattamente che racconto si doveva fare e quando si racconta, quando la verità deve venir fuori, spesso bisogna mostrare anche la faccia più cattiva. Di lui ricordo anche un aspetto molto più delicato perché le persone, anche quelle che si pongono in maniera così forte, alla fine hanno al loro interno delle sacche di tenerezza. Riguardando le sue foto, le ho riviste, in qualche modo. Perché poi c’è un metalinguaggio, quello che ci consente di guardare negli occhi, di comprendere. Secondo me lui era molto dolce. E anche le parole di sua figlia lo testimoniano”. Alla domanda di Muscari relativa al fatto se come giornalista si senta “messo a fuoco” e collocato in luogo adeguato ai suoi desiderata, Innacone ha risposto “Mi sento sempre inadeguato. Sento che ho degli strumenti…percepisco che ho la capacità di poter raccontare delle cose. Ma mi sento inadeguato perché penso che per raccontare sempre a un certo livello c’è bisogno di stare in una tensione continua. E questo ti fa essere talvolta “fuori fuoco”. Col tempo, però, ho imparato anche a sanare questo gap, cercando di essere clemente con me stesso”.

Nel dialogo con Muscari, Iannacone ha ricordato la sua infanzia, dominata da due figure severe, soprattutto quella del padre, piccolo imprenditore molisano che lo ha educato, come i suoi fratelli, al sacrificio e all’etica del lavoro, e poi la fuga dalla provincia, alla ricerca di una libertà e di un lavoro che soddisfacesse la sua esigenza di trovare il proprio posto nel mondo.

Dopo il contributo video contenente la scheda di presentazione della sua attività, Iannacone ha detto di aver ricordato tante persone che hanno fatto parte della sua vita e che non ci sono più. “Quello del giornalista è un mestiere sorprendente, un mestiere che sta cambiando, – ha esordito Giorgio Lambri, rappresentante dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, chiamato sul palco per premiare Iannacone – è un mestiere, per certi aspetti, anche in pericolo. Mi ha fatto molto piacere premiare Alice, perché rappresenta la speranza. Io lavoro da 37 anni per un giornale cartaceo. So bene di essere un “dead man walking”, perché l’informazione cartacea va verso un’estinzione che, secondo me, è inevitabile. Però vedo anche che il nostro mestiere cambia, nonostante il cannibalismo dei social, cambia in bene attraverso ragazzi come Alice, attraverso il giornalismo sociale di Iannacone. Come Ordine dei giornalisti noi siamo impegnanti su tanti fronti. L’Ordine ha ruolo importante, tanto più oggi, soprattutto di fronte alla precarietà. La situazione di precario è dominante nel giornalismo. Precari vuole dire vivere nella provvisorietà, costantemente minacciati da pericolo. E questa provvisorietà nell’informazione è pericolosa, deleteria e vergognosa per chi la subisce. Ma è pericolosa anche per l’utente finale dell’informazione. Questo vostro lavoro è molto importante per gli esempi che date”.

Anche Iannacone è intervenuto sul tema della precarietà, sottolineandone però gli aspetti positivi di libertà e di non inquadramento in schemi precostituiti. “Saremo anche più precari ma saremo anche più liberi. – ha dichiarato il giornalista – Cosa non mi andava bene prima di occuparmi di ciò di cui mi occupo oggi? Intanto non mi piaceva più il tempo che mi veniva dedicato per raccontare le storie. Non mi piaceva l’idea che qualcun altro dovesse mettere il cronometro alle emozioni. La mia esperienza nei talk si stava piano piano esaurendo perché non c’era più spazio. Ho fatto delle scelte antitetiche proprio per questo discorso della libertà. La regola fondamentale che ho cercato di mettere in pratica è stata quella di andare in un posto, di osservarlo, di creare innanzitutto quella che in sociologia è la realtà partecipante, standoci dentro, sporcandomi le mani, camminando con le persone che racconto. Ma ho messo in conto che stavo rischiando di non fare più questo lavoro.” A questo punto Iannacone ha esposto quello che ha voluto fosse la sua peculiare modalità di fare inchiesta: attenta alle pause, all’ascolto profondo, lento, capace di dettare i suoi tempi dall’interno. Omettere questi dettagli significava, per Iannacone, omettere di raccontare la verità. Il giornalista ha proseguito dicendo di essere debitore, sotto questo aspetto, anche del cinema documentaristico, che non fa elisioni e non crea tagli dove non devono essercene. Il fuori campo di Antonioni, ciò che rimane sfocato, sullo sfondo, ecco questo, per Iannacone, fa parte della verità e non può essere modificato e annullato. “Queste cose noi abbiano l’obbligo di raccontarle, specie quando si racconta della vita delle persone; – ha aggiunto Iannacone, – io ho avuto una palestra nella mia vita. Mi sono nutrito di poesia. Ho assorbito l’insegnamenti dei grandi poeti del Novecento italiano”.

Iannacone ha poi, su richiesta di Muscari, portato alcune pillole esemplificative del suo lavoro, tra cui ha scelto quella relativa a Dario D’Amrbosi, con la sperimentazione sul “teatro patologico”, attraverso cui l’attore e regista, uno dei maestri dell’avanguardia in Italia, ha coinvolto centinaia di persone con disabilità fisica e psichica.

Dopo il conferimento del premio Mamorial Oliviero Beha, consegnato da Giorgio Lambri, si è, infine, avviato il momento talk, incentrato sul tema della serata, la narrazione degli ultimi.  Presenti sul palco, insieme a Iannacone e a Lambri, anche Alice Facchini e Michelangelo Tagliaferri. Interessanti, nella parte iniziale del talk, le notazioni di Iannacone secondo cui anche l’etichetta “giornalismo sociale” è forse da eliminare perché anche l’etichetta ghettizza e per il giornalista dev’essere la narrazione, senza qualifiche particolari, il centro di tutto. Nuovi spunti sono nati da un altro dei filmati portati da Iannacone, quello di Piepaolo, un uomo di 53 anni con sindrome di Down, che ha deciso di prendersi cura di sua madre, malata di Alzheimer, e che, così facendo, ha ribaltato il concetto di protezione e cura. Tanti i temi trattati a partire da questo spunto, dal documentarismo all’importanza del racconto, così come viene tramandato in ogni tradizione, dalla capacità di narrare a quella di incidere concretamente sulla realtà narrate, smuovendo il territorio affinché dal suo interno trovi le energie per aiutare le persone e farsi carico dei dolori e dei problemi che la narrazione ha evidenziato.

Spaccanapoli, con il fotografo Oreste Pipolo – altro piccolo stralcio tratto da “I Dieci comandamenti” – ha chiosato con un pizzico d’ironia questa seconda serata di FEGE, concludendo un Festival istruttivo, ricco di spunti e di emozioni, che una volta ancora ha incantato, stupito e intrattenuto grazie alla magia sprigionata, come sempre, delle storie.

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